Dei delitti e del pene

Scajola Matacena Rizzo2di Claudio Cordova - Resterà una macchia di questi anni di attività del Dispaccio, in cui abbiamo sempre cercato di avere rispetto di tutti, anche dei peggiori criminali. L'attesa, camera in mano, dell'arrivo all'aeroporto di Reggio Calabria, con il conseguente luccichio dei flash alla discesa della scaletta dell'aereo, accompagnata da agenti della DIA per il trasferimento in carcere. Uno spiegamento di forze per l'arrivo non di Roberto Pannunzi, il più grande broker della droga degli ultimi anni, ma, nientepopodimeno che... di Chiara Rizzo. Donna, incensurata, bloccata a Nizza (dove, secondo gli avvocati, si stava per consegnare) proprio come si sarebbe fatto per Pannunzi.

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Una eco mediatica di cui, già da un po' mi vergogno. Non c'era nulla di onorevole allora in quella presunta attività giornalistica e non c'è nulla ancora oggi.

Soprattutto alla luce della deludente sentenza del processo "Breakfast", che vedeva imputati proprio Chiara Rizzo, ex moglie di Amedeo Matacena, già parlamentare di Forza Italia, colluso con la 'ndrangheta e oggi latitante a Dubai, e l'ex ministro Claudio Scajola. I due erano accusati di procurata inosservanza della pena dello stesso Matacena, sottrattosi alla condanna per concorso esterno in associazione mafiosa e, la Rizzo, di aver schermato il patrimonio di Matacena.

Le scuse per quell'attesa da sciacallo, si badi bene, non impediscono di dire che chi scrive non abbia alcuna considerazione, anzi, provi una certa repulsione, per le donne come Chiara Rizzo, sempre un po' troppo vicine al potere. Così come non impedisce di dire che solo una Repubblica delle Banane come l'Italia può aver avuto la capacità di avere (più volte) ministro un soggetto come Claudio Scajola. E, ancora, che uomini come Amedeo Matacena abbiano infangato le nobiltà del mandato parlamentare che dovrebbe contraddistinguere gli eletti del popolo.

Ma la sentenza del processo è stata emessa e con quella ci si deve confrontare. Anche perché gli altri due imputati "minori", la segretaria di Matacena, Mariagrazia Fiordelisi, e il factotum dell'ex parlamentare, Martino Politi, rimediano rispettivamente una prescrizione e un'assoluzione, nonostante le richieste di oltre sette anni ciascuno.

A fronte di anni di indagini, di intercettazioni, di pedinamenti, di informative, di tesi su reti internazionali e massonerie di imprecisata natura, la condanna a due anni per Scajola e a un anno per la Rizzo impongono delle riflessioni: per la stessa donna, il pubblico ministero Giuseppe Lombardo aveva chiesto oltre 11 anni di reclusione. E' arrivata la condanna a un anno con la restituzione dei beni sequestrati. Giusto per dare la proporzione, nel processo d'appello "Meta", il boss di Sinopoli, Cosimo Alvaro, venne condannato a 8 anni di reclusione...

Gli assidui lettori del Dispaccio avranno certamente notato come, in questi anni, abbiamo deciso di dedicare lo spazio minimo al processo "Breakfast". Il minimo indispensabile, per rispetto di chi sceglie di leggerci ogni giorno. Questo perché, in tutta sincerità, non ci abbiamo mai creduto. A cominciare dal nome, "Breakfast", riciclato da una precedente indagine del pm Lombardo, sui presunti collegamenti tra Lega e 'ndrangheta, tramite l'allora tesoriere Francesco Belsito. Le perquisizioni scattarono nell'aprile 2012. Il Dispaccio era online da pochissimi giorni. Speriamo che il Cielo ci dia la possibilità di vedere gli esiti, un giorno.

L'impressione, fin dalla lettura dei primi atti, una volta divenuti ostensibili, fu quella di una storia di sesso, agognato, desiderato, probabilmente non consumato, elevata a intrigo internazionale. E del resto, alla fine, nonostante gli evidenti problemi di natura familiare, lo stesso Scajola ha ammesso di essere rimasto infatuato dalla bionda Chiara Rizzo e di averla aiutata per questo. Si è invece insistito con i coinvolgimenti con il Libano e soggetti di spiccata importanza criminale come l'ex senatore Marcello Dell'Utri. Persino l'ex premier Silvio Berlusconi ha sfilato, in qualità di testimone, all'interno dell'aula bunker di Reggio Calabria.

E cosa resta oggi di tutto questo?

Resta una sentenza dura, ma emessa dal Collegio presieduto da uno dei giudici più esperti e preparati, Natina Pratticò. Ovviamente si dovranno attendere le motivazioni, così come i gradi successivi dove, certamente, l'accusa potrebbe spendere ulteriori acquisizioni investigative, già da tempo annunciate.

Ma, per ora, restano anche tanti soldi spesi per intercettazioni, per atti e interlocuzioni con Paesi stranieri, per pedinamenti fuori da alberghi dove probabilmente si intrattenevano incontri amorosi. Soldi che forse sarebbero potuti essere investiti un po' meglio, magari per indagini su altri (veri) manovratori della 'ndrangheta. O su inchieste che riguardano il territorio, soffocato dallo strapotere della criminalità organizzata. Già, perché inizialmente l'accusa (poi ritirata) portava avanti persino l'aggravante mafiosa.

Forse vi sarebbero stati meno titoli. Ma quanta utilità in più...